Fatta questa dovuta premessa, è bene anche mostrare l’altro lato della medaglia. Personalmente io adoro tutti gli strumenti per l’allenamento che la tecnologia moderna ha messo a nostra disposizione e ne faccio largo uso durante le mie corse.
Non solo, faccio in modo di testare e recensire ogni nuovo modello in modo da fornire ai miei allievi della Coaching & Training Experience di Correre Naturale sempre consigli e feedback precisi sulle ultime novità.
Detto questo, il punto da sottolineare è che non mi affido ciecamente a questi strumenti per gestire e valutare i miei allenamenti.
Riconosco che siano strumenti utili, certo, ma ne riconosco anche i fortissimi limiti.
Primo fra tutti che, nonostante stiano diventando sempre più precisi, non potranno mai sostituire in precisione lo strumento innato che tutti possediamo e che ogni runner che vuole davvero performare dovrebbe imparare ad usare: le nostre sensazioni.
Dunque, se usati nel modo corretto, questi materiali, queste tecnologie, queste app, sono strumenti straordinari messi a nostra disposizione dall’era moderna e possono davvero aiutarci a migliorare la nostra corsa, a farci vivere la sua dimensione sociale, e monitorare l’andamento di allenamenti e performance.
Certo, se usati nel modo corretto, che in poche parole vuol dire che dobbiamo essere noi padroni dello strumento, imparare come usarlo e non farci usare, non subirlo insomma.
Noi siamo la tecnologia
Molti runner infatti, e ho potuto constatarlo di persona, non si fidano più delle proprie sensazioni, tanto sono abituati a guardare i dati dell’orologio, del dispositivo per la frequenza cardiaca o di qualunque altro strumento indossino.
Non solo, nel tempo si sono talmente staccati da se stessi, dalla propria capacità di ascoltarsi, che alcuni di loro non riescono neanche più ad interpretare le sensazioni correttamente.
Pensate cosa sarebbe successo ai nostri antenati se non fossero stati in grado di affidarsi alle proprie sensazioni e interpretarle correttamente. Probabilmente ci saremmo estinti da tempo.
E anche restando nell’ambito della corsa, non dimentichiamo che per la maggior parte della nostra storia i corridori si sono allenati affidandosi esclusivamente - o quasi - alle sensazioni, e questo vale anche per i campioni e per coloro che hanno poi stabilito dei record.
È in realtà abbastanza recente l’idea che uno strumento inanimato ne possa sapere su di noi più di noi stessi.
Se devono scegliere se e quanto spingere lo fanno sulla base di come si sentono quel giorno o in quel dato momento.
Ed è proprio durante un allenamento con Eliud che quest’ultimo ha consigliato ad Abdi di non guardare l’orologio e il passo al chilometro durante l’allenamento, perchè lo avrebbe condizionato e gli avrebbe impedito di dare il meglio.
Ho coniato un termine per tutto questo, per rendere più chiaro il concetto espresso ai miei allievi del coaching e della Running School, ed è
“tachimetro interno”.
Il tachimetro interno è lo strumento interiore che ogni runner dovrebbe sviluppare e che può essere allenato e affinato con specifici allenamenti dove i parametri di riferimento sono frequenza cardiaca, respirazione e sensazioni.
L’analisi accurata durante la corsa di questi tre fondamentali parametri permetterà al corridore di conoscersi sempre di più, tanto da riuscire col tempo a riprendere fiducia e confidenza in ciò che gli dice il suo corpo ed apprendere infine come gestire un allenamento, come regolare le proprie energie e intensità unicamente sulla base di come si sente.
Cosa che, se fatta bene ed esercitata durante gli allenamenti, ci permetterà di dare il meglio di noi anche in gara.
RPE e scala di Borg
Siamo sicuri di riuscire a capire quando dovremmo rallentare, di saper leggere i segnali del nostro corpo nel corso di una sessione di corsa?
La risposta, per la maggior parte dei runner amatori, è:
NO!
Un utile strumento che allora ci viene in aiuto per allenare questa capacità è la scala di Borg.
Prende il nome dal suo creatore, Gunnar Borg, che creò delle scale di valori atte ad identificare la percezione dello sforzo.
Una di queste scale è quella RPE (“Rate of Perceived Exertion, ossia “livello dello sforzo percepito), il cui scopo è valutare la percezione dello sforzo fisico soggettivo durante un’attività fisica.
Questa scala dalla sua creazione ha avuto varie interpretazioni, tanto che se ne possono trovare anche diverse versioni nel mondo della corsa, a seconda dell’interpretazione del singolo coach.
Associandola alla mia esperienza nella formazione di migliaia di runner e ai valori attribuibili all’intensità respiratoria e ai battiti cardiaci, ne ho creato anch’io un versione che utilizzo per allenare gli atleti della Coaching & Training Experience di Correre Naturale, il nostro servizio di coaching online.
Qui di seguito potete trovarne una versione adattata per questo articolo:
- 0: Condizione di riposo.
- 1-2: Sensazione di fatica leggerissima, impercettibile come potrebbe essere quella di una camminata leggera.
La respirazione nasale è facile e silenziosa. - 3-4: Sensazione di sforzo piacevole e mai scomoda come quella che dovremmo provare nelle corse aerobiche rigeneranti.
Non ci troviamo mai in condizione di fame d’aria. - 5-6: Sensazione di sforzo gestibile ma che può essere anche un po’ sfidante. Si tratta di uno sforzo che può arrivare al limite della sensazione comodo-scomodo, ma che sappiamo essere gestibile per lunghi periodi di tempo.
- 7: Sensazione di sforzo percepito alta, non più gestibile in maniera piacevole, va oltre ciò che può essere considerato comodo. Questo sforzo può essere mantenuto, a seconda del livello di allenamento della persona, dai 10 fino ai 60 minuti.
- 8: Sensazione di sforzo percepito molto alta e impegnativa, gestibile per un massimo di 5/7 minuti.
- 9-10: Sensazione di sforzo percepito massimale, gestibile per poche decine di secondi. Il 10 rappresenta la sensazione di fatica e sforzo più forte che possiamo percepire durante la corsa.
Come si può vedere, tramite questa scala RPE, è possibile fornire al corridore dei punti di riferimento su cui iniziare a lavorare e, nel tempo, affinare la propria sensibilità.
Allenamento dopo allenamento, la tendenza sarà quella di guardare sempre meno l’orologio, di indossare la fascia cardio per avere un parametro in più e non per avere il parametro definitivo.
Si diventerà più bravi nel gestire l’intensità respiratoria e, con essa, anche le proprie riserve energetiche e lo stress legato all’attività della corsa.
Non solo, lavorare sulle nostre sensazioni ci insegnerà una cosa molto importante: che i giorni non sono tutti uguali, che non siamo noi a decidere se spingere o meno, che un allenamento può non andare come previsto, semplicemente perchè quel giorno “non è giornata”, ma che può comunque trasformarsi in un allenamento di successo se ci sappiamo ascoltare.
Conlcusioni
Invito sempre ogni runner, fin dalla prima lezione, a prestare attenzione alle proprie sensazioni durante la corsa e sono davvero stupito nel constatare quanti corridori ignorino totalmente che cosa sta accadendo all’interno del loro corpo mentre lo muovono nello spazio.
Inserire la scala RPE nei propri allenamenti può diventare per molti una vera e propria svolta per cambiare la percezione che si ha della corsa stessa, mettere per un po’ da parte i numeri e riscoprire ciò che conta davvero: le nostre sensazioni; ricordando che non si tratta di abbandonare la tecnologia, ma piuttosto di associare i nostri strumenti ad una tecnologia ben più antica, precisa, e che ha superato da tempo il test sul campo: il nostro corpo.
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