Parlare di come migliorare la performance nella corsa è un argomento che cerco sempre di trattare con attenzione.
Il motivo principale è che spesso il concetto stesso di performance nella corsa viene travisato o approcciato nel modo sbagliato. Oggigiorno la corsa viene vista (almeno qui nella nostra società) quasi solo come uno sport, anzi, come uno sport di velocità, il cui obiettivo è percorrere una data distanza nel minor tempo possibile.
Questa è certamente una visione che può avere un suo senso per i professionisti dell’atletica leggera, che quindi praticano la corsa come sport, partecipano a competizioni nazionali e internazionali e, letteralmente, si mantengono grazie alla corsa sportiva.
Per gli amatori invece questa dimensione della corsa deve essere un po’ rivista, o meglio deve essere rivista l’importanza che viene data alla pura performance. Se infatti un professionista può essere disposto a sacrificare tutto, in alcuni casi anche la salute, per raggiungere il proprio obiettivo, per un amatore questo tipo di ragionamento non ha la stessa valenza.

Certo allenarsi per la performance ha il suo fascino, non lo nego.
Io stesso tramite la Running School e il mio coaching online ho allenato con successo migliaia di runner a raggiungere i loro risultati cronometrici.
È bello mettersi alla prova, è bello scoprire fino a dove poter spingere il nostro corpo, è bello vedere che stiamo diventando più veloci, che stiamo correndo più chilometri.
Leggere quei numeri ci dà soddisfazione e ci fa capire che a tutti gli effetti un cambiamento c’è stato, ma c’è qualcosa che un amatore non dovrebbe mai dimenticare in tutto questo: la performance cronometrica non dovrebbe mai essere il primo obiettivo di un corridore, non dovrebbe mai essere raggiunta a discapito di salute e benessere e, soprattutto, non è vero che la corsa è uno sport di velocità.
Certo, può diventarlo se lo vogliamo noi, come nel caso dell’atletica, ma non esiste nessuna regola universale secondo cui il migliore corridore è il più veloce. La corsa è la corsa, punto.

È per questo che anche con gli allievi che si avvicinano al metodo Correre Naturale per migliorare le proprie performance ci tengo a fare un percorso di consapevolezza in cui spiego e mostro loro come alla fine la vera perfomance altro non è che il risultato di un approccio corretto alla corsa in generale.
Non esiste performance senza salute e benessere dal mio punto di vista. Chi sacrifica la propria salute per limare qualche secondo al chilometro, chi si infortuna pur di fare un chilometro in più, non sta praticando la corsa secondo il metodo Correre Naturale.
Se approccerete la corsa secondo i principi spiegati in questo articolo le performance arriveranno in modo naturale, al momento giusto, quando sarete pronti, quando il vostro corpo lo sarà.

I più comuni errori nell’allenamento
Sapere come allenarsi per ottenere i migliori risultati e, soprattutto, evitare possibili infortuni dovrebbe essere un argomento di primario interesse per ogni corridore.
Se però andiamo ad intervistare runner amatori che corrono anche da anni ci accorgeremo che raramente hanno seguito i dettami di uno schema di allenamento corretto e, infatti, altrettanto raramente hanno raggiunto negli anni i loro obiettivi o hanno avuto una “carriera” priva di infortuni.
Questo perché spesso ci si lascia trascinare dall’idea che per migliorare nella corsa basti semplicemente correre. Non solo, che si debba cercare sempre di correre di più e più velocemente dell’allenamento precedente.
Così, ogni sessione diventa una vera e propria gara di fatica, di cui ci si fa anche vanto poi sui social media, rendendo onore al famoso detto “no pain no gain” che però con la fisiologia del corpo umano ha ben poco a che fare. Anzi, sarebbe più corretto dire che, almeno nel caso della corsa, il nostro corpo sia totalmente contrario all’applicazione di un simile principio, che infatti nella maggior parte dei casi si rivela deleterio per il runner.

E questo ci porta direttamente al secondo errore più comune, che riguarda uno degli aspetti della corsa più sottovalutati: il recupero.
Tutti si vogliono allenare, in pochi accettano di dedicare il giusto tempo al recupero.
Soprattutto se si affrontano allenamenti alla “no pain no gain”, il nostro corpo viene sottoposto a stress notevoli, stress da cui deve assolutamente recuperare completamente prima dell’allenamento successivo.

Il recupero è un tema serio ed importante e, sotto un certo punto di vista, saper recuperare è una vera e propria arte.
Ci vogliono grande forza di volontà e autodisciplina all’inizio per imparare ad ascoltarsi e accettare di non poter spingere al massimo ogni giorno, ad ogni singolo allenamento, ma questo nel tempo pagherà regalandoci le prestazioni a cui aspiriamo.
Non per niente, saper recuperare e farlo bene è uno dei segreti del successo di alcuni tra i più forti maratoneti al mondo e nei camp dove si allenano i migliori atleti keniani il tempo dedicato a recupero tra un allenamento e l’altro è considerato importante tanto quanto l’allenamento stesso.

Certamente, se volessimo scavare a fondo di errori ne troveremo molti altri, ma in questo articolo mi voglio volutamente soffermare su questi due.
Vediamo quindi alcuni accorgimenti per migliorare la distribuzione dell’intensità nel nostro programma di allenamento e ottimizzare quelli che sono i nostri tempi di recupero.
L’esperienza dei campioni al servizio degli amatori
Quando il professore in fisiologia dell’allenamento e ricercatore Stephen Seiler ha iniziato ad osservare come gli atleti olimpici degli sport di endurance si allenavano nel corso della loro settimana, si è accorto di un particolare che non era mai emerso nei test di laboratorio cui era solito affidarsi.
Questi atleti erano sì capaci di produrre performance estreme, che li portavano a collezionare podi e medaglie d’oro, ma per contro il loro allenamento per la maggior parte delle volte era tutt’altro che estremo.
Per Seiler questa fu una vera e propria rivelazione, i migliori atleti di endurance al mondo si allenavano seguendo delle sessioni di allenamento spesso più “facili” di quelle della maggior parte degli amatori.

Osservando e analizzando corridori, sciatori di fondo, ciclisti, triatleti, etc., è infatti giunto alla conclusione che quasi tutti seguivano un regime di allenamento simile, che li portava ad eseguire tra l’80 ed il 90% dei loro allenamenti ad intensità relativamente facili (quelle associate con il famoso “talk test”, che si basa sulla capacità di sostenere una conversazione da parte del soggetto che si sta allenando), e solo il 10-20% delle sessioni ad intensità elevate (intorno al 90% della frequenza cardiaca massima).
Questa distribuzione delle intensità permette quindi all’atleta di accumulare volume, allenando il proprio motore aerobico, senza stressare eccessivamente il proprio corpo e arrivando così sempre pienamente rigenerato a quel 10-20% di allenamenti intensi, dove può dare quindi il 100%.
Chiaramente queste percentuali possono variare leggermente all’avvicinarsi di una gara o di un appuntamento importante, ma non raggiungono mai le percentuali che il Dr. Seiler ha osservato nella maggior parte degli amatori, che tendono a svolgere gli allenamenti dedicando circa il 50% del tempo a sessioni facili ed un altro 50% a sessioni a medio-alta intensità. Non solo, come se non bastasse, un altro particolare curioso è emerso.
Moltissimi amatori tendono ad eseguire gli allenamenti intensi a ritmi troppo facili e quelli facili a ritmi troppo veloci, portando in questo modo il loro corpo a non dare mai davvero il meglio e, per contro, a non recuperare mai completamente. È un cane che si morde la coda, insomma.
Che i migliori atleti dedichino la maggior parte dei loro allenamenti alla bassa intensità non è nulla di nuovo nel mondo della corsa e degli sport di endurance in generale.
Oltre alle osservazioni di Seiler, moltissimi coach prima di lui, soprattutto nei decenni passati, spingevano i loro atleti a costruire una importante base aerobica prima di dedicarsi ad allenamenti più intensi.
Oggi, ci basta osservare ciò che fanno alcuni tra i migliori maratoneti che il mondo abbia mai conosciuto, i keniani.
Come abbiamo già detto in Kenya il recupero è re e, soprattutto nei mesi di avvicinamento alle gare, gli atleti eseguono la maggior parte delle loro corse a velocità relativamente basse (ovviamente, basse per loro).
I risultati in questo caso parlano per loro.

Allenarsi per la performance nella corsa
I dati e le ricerche riportati sopra sono un’ennesima conferma di ciò che ho osservato con i miei occhi, avendo insegnato a correre e allenato migliaia di persone in questi anni tramite il metodo Correre Naturale.
La maggior parte dei runner che si sono affidati a me, spesso proprio perché desiderosi di migliorare le proprie performance o di liberarsi di fastidiosi infortuni, non eseguivano forse nemmeno il 50% dei loro allenamenti davvero a bassa intensità, ma cercavano piuttosto di fare il loro personal best ad ogni allenamento, non riuscendo poi a raggiungerlo in gara, perché troppo stanchi o infortunati.
Con loro spesso ho dovuto fare una vera e propria opera di rieducazione alle corrette metodologie di allenamento, portandoli a rallentare, a mettere da parte l’ego e, spesso per la prima volta, ad imparare ad ascoltare davvero il proprio corpo. Dopo alcune settimane o mesi con il metodo Correre Naturale, la loro corsa ha ricominciato a migliorare, stavolta in modo progressivo, sano e sostenibile.

Conclusione
Non sempre osservare i professionisti può essere positivo per gli amatori, anzi spesso imitare i loro allenamenti o, peggio, le loro tabelle, può essere estremamente deleterio.
Tuttavia, per quanto riguarda la distribuzione delle intensità nelle nostre sessioni di allenamento, guardare a chi sta vincendo ori e collezionando podi nelle più importanti maratone può essere la miglior strategia se anche noi aspiriamo a raggiungere le nostre migliori performance e, soprattutto, se desideriamo correre a lungo, senza infortuni e in salute.
Lo sport, la scienza e l’ascolto stesso del corpo umano ci stanno indicando tutti la stessa identica strada, sarebbe assurdo non seguirla, no?
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